STEPHEN FREARS

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Descrizione

STEPHEN FREARS a cura di Stefano Boni e Massimo Quaglia

Perché dedicare una retrospettiva e un volume a un regista non alla moda come Stephen Frears? I motivi sono tanti, ma primo fra tutti il fatto che il cineasta di Leicester è da considerarsi, al di là delle divergenti opinioni critiche che hanno accompagnato l’intera sua carriera, un autore nel senso pieno del termine, vale a dire un artista che attraverso le sue opere ha saputo da un lato mettere in scena con grande acume e precisione la società britannica contemporanea, dall’altro ha mostrato un personale approccio stilistico al materiale diegetico. Dagli anni Sessanta del Free Cinema a oggi, dal piccolo al grande schermo, dal cinema di genere a quello d’essai, dalle grandi produzioni alle pellicole low budget, dall’Europa agli Stati Uniti e ritorno, dai prodotti su commissione ai progetti covati nel tempo, Frears ha infatti sempre mantenuto una rara, e perciò pregevole, coerenza narrativa ed espressiva. Dimostrando, film dopo film, grande umanità nei confronti delle storie e dei personaggi rappresentati, osservati con sguardo al contempo attento e solidale, capace di mettere in evidenza tanto gli aspetti drammatici quanto quelli comici di situazioni ed esistenze, evitando quindi il rischio di dipingere monocordi ritratti di realtà restituite invece in tutta la loro ricchezza e vivacità.
Tra i suoi molti titoli ve ne sono alcuni che si soffermano in modo particolare sull’universo giovanile e che quindi non potevano non stuzzicare la curiosità di un festival come Sottodiciotto, geneticamente incentrato sulle immagini da, su e per quel mondo. Immagini, quelle del regista inglese, mai scontate e straordinariamente efficaci per descrivere l’evoluzione delle nuove generazioni, coinvolte in profonde trasformazioni individuali e collettive soltanto in parte attribuibili alle naturali e tradizionali tappe anagrafiche, visto il ruolo fondamentale giocato dai mutamenti del contesto ambientale nel passaggio dallo Stato sociale alla New Economy tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI. A ciò si aggiunga poi il costante impegno da parte del Museo Nazionale del Cinema di proporre o riproporre alla considerazione del pubblico autori e cinematografie che hanno segnato, in varia misura, la storia del cinema, ed ecco che il senso della collaborazione tra i due enti trova la propria ragion d’essere e consente al festival di prolungarsi oltre il termine delle sue date.
Questo libro – contenente saggi che ripercorrono cronologicamente la filmografia di Stephen Frears, affidati ad alcuni dei maggiori specialisti italiani della materia – assolve infine il compito di colmare una clamorosa lacuna editoriale: le uniche due monografie sul regista, una francese e l’altra italiana (meritoriamente pubblicata dalla rivista quadrimestrale “Script”, consiste però in un volumetto di poche pagine), risalgono ormai alla metà degli anni Novanta. Da allora, sul lavoro del cineasta è caduto l’oblio. Gli ha forse nuociuto il dibattito sulla sua presunta autorialità a cui si faceva riferimento prima. Oppure quella multiformità difficile da analizzare e ancor più complicata da incasellare nel politically correct. Tanto più se mette accidentalmente in scena gli elementi di continuità negativa tra i governi di Margaret Thatcher e quelli di Tony Blair. Ai lettori delle pagine che seguono e agli spettatori della retrospettiva l’ardua sentenza.

ISBN 88-89653-04-3
Pagine 79, ill., Collana “Platea”, 2005, Prezzo di copertina € 7,20